Il Consiglio dei Ministri reintroduce l’obbligo di stabilimento in etichetta – La rintracciabilità di filiera si presenta come un fattore positivo sia dal punto di vista del produttore, che dimostra il suo impegno per la qualità e la sicurezza dei suoi prodotti e sottolinea l’affidabilità dei suoi fornitori, sia dal punto di vista del consumatore che ha la possibilità di poter identificare ogni singolo elemento della filiera e della catena di produzione e distribuzione del prodotto.

La certificazione di tracciabilità di filiera rende la produzione del settore agroalimentare chiara e nitida, trasparente, e consente di diffondere fiducia nei consumatori.

Sulle etichette dei prodotti alimentari dovrà essere indicato lo stabilimento di produzione o confezionamento: lo stabilisce il decreto attuativo passato dal Consiglio dei Ministri dello scorso 17 marzo. Si tratta di un ritorno al passato: l’obbligo era già sancito dalla legge italiana, poi abrogato in seguito alla recente normativa Ue sull’etichettatura. L’Italia ha stabilito la reintroduzione per garantire, spiega il Mipaaf, oltre che una corretta informazione al consumatore, “La rintracciabilità immediata degli alimenti da parte degli organi di controllo”.

Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni, per lo smaltimento delle etichette già stampate, e fino a esaurimento dei prodotti etichettati prima dell’entrata in vigore del decreto ma già immessi in commercio. “Questo provvedimento – ha commentato il ministro Martina – si inserisce nel lavoro che stiamo portando avanti per dare massima informazione ai cittadini sugli alimenti che consumano. Diamo una risposta anche alle tantissime aziende che hanno chiesto questa norma e hanno continuato a dichiarare lo stabilimento di produzione nelle loro etichette”. “Il nostro lavoro – conclude Martina – non si ferma qui, porteremo avanti la nostra battaglia anche in Europa, perché l’etichettatura sia sempre più completa. La valorizzazione della distintività del nostro modello agroalimentare passa anche da qui.


Ma la pensano diversamente da Federalimentare, dove definiscono il “provvedimento nazionale – non applicabile ai prodotti alimentari fabbricati fuori Italia e mandati sugli scaffali del nostro paese – come un grosso passo indietro che penalizza i produttori italiani e inganna i nostri consumatori”. “Come sosteniamo da sempre – commenta Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – queste battaglie di trasparenza più che legittime vanno vinte a Bruxelles, altrimenti un qualsiasi imprenditore tedesco o francese con una semplice ragione sociale a qualsiasi titolo nel nostro paese può spacciarsi per italiano (senza obbligo di indicare la sede di produzione) con gravi danni per tutto il nostro sistema”. “Ancora una volta – conclude il presidente Scordamaglia – assistiamo a scorciatoie nazionali che finiscono con l’assecondare l’operato di una commissione europea pavida e inadempiente e responsabile della frammentazione del mercato unico”.


Dall’associazione del “food and beverage” vedono per altro una inversione di tendenza che fa ben sperare per l’andamento dell’industria, che ha avuto un colpo di coda a fine 2016 dopo un anno di sostanziale stagnazione. Scordamaglia ha sottolineato, in una presentazione a Milano, che “La produzione alimentare, che su gennaio-ottobre navigava ancora su un +0,3% rispetto allo stesso periodo 2015, ha messo a segno in chiusura un +1,1%, che è il migliore incremento dal 2010. Una netta inversione di tendenza, dopo il deludente -0,6% con cui si era chiuso
il 2015″. Insomma una velocità d’uscita interessante per il 2017, “anno che dovrebbe segnare – dice ancora Scordamaglia – per la prima volta variazioni positive per tutti e tre i grandi parametri congiunturali, non solo produzione ed export, ma anche vendite alimentari interne.

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